Tra le chiavi del comune ce n’era una che apriva il covo di Matteo Messina Denaro. Chi indaga sui fiancheggiatori del latitante morto un anno fa, lo ha scoperto analizzando un mazzo di chiavi trovato ad Andrea Bonafede, il dipendente del comune di Campobello di Mazara che ritirava le ricette per il boss.
Aprirebbe il box dell’appartamento di Mazara Del Vallo, l’ultimo covo individuato dagli investigatori. La stessa chiave l’avrebbe avuta anche la sorella del latitante, Rosalia Messina Denaro.
Una strana coincidenza per i magistrati della Procura di Palermo, Paolo Guido e Gianluca De Leo, che in un interrogatorio del 19 ottobre ne hanno chiesto conto e ragione a Bonafede.
“Io in macchina avevo un mare di chiavi, c’erano pure le chiavi del comune avrebbe risposto. L’uomo, condannato a 6 anni e 8 mesi nega di conoscere la sorella del boss, e di sapere che una chiave in suo possesso potesse aprire un covo del latitante. Anzi, un’alcova come la chiama lui quando gli mostrano delle foto che ritraggono sua cognata, probabilmente Lorena Lanceri seguita da Messina Denaro.
Nell’interrogatorio durato una quarantina di minuti, si parla anche di Massimo Gentile, la cui identità è stata utilizzata da Messina Denaro. Potrebbe essere stato raggirato dice Bonafede, ma non da lui come ha ipotizzato Gentile. Ho avuto la sua carta d’identità perchè nel 2017 ha lavorato in campagna con me. L’ho data al consulente per aprire la posizione Inps, ha detto smentendo di avere girato i documenti a Messina Denaro., ma non nega per la prima volta di avere conosciuto il boss. Sarebbe una offesa alla vostra intelligenza.